Sarah Lubala è una scrittrice di origini congolesi residente in Sudafrica. Quando era bambina, la sua famiglia dovette lasciare la Repubblica Democratica del Congo a causa dell’instabilità politica del Paese; si trasferirono in Sudafrica e poi in Costa d’Avorio, per ritornare successivamente in Sudafrica e stabilirsi definitivamente a Johannesburg.
Per due volte è stata tra i finalisti del Gerald Kraak Award, una volta per The Brittle Paper Poetry Award ed è stata scelta nella fase preliminare per il Sol Plaatje EU Poetry Award. Ha vinto la XIV edizione del concorso internazionale di poesia Castello Di Duino. Le sue opere sono state pubblicate, tra gli altri, su Mail & Guardian, The Daily Vox, Brittle Paper, Apogee Journal, Entropy.
Nel 2022 ha pubblicato la sua prima raccolta intitolata A History of Disappearance, che include 37 componimenti poetici corredati dalle fotografie di Julien Harneis, Bill Wegener e altri. Tra i temi affrontati, la migrazione forzata, lo sradicamento, la xenofobia, le questioni di genere, la violenza sessuale, la malattia mentale, i ricordi e la memoria.
La scrittura ha sempre fatto parte di te?
Sì, è così, le parole hanno sempre fatto parte di me. Ho iniziato a scrivere poesie e racconti brevi quando avevo nove anni per provare a dare un senso alle mie esperienze. Sono cresciuta in una casa in cui la violenza era una vera e propria presenza. Per me era difficile trovare, sia in casa che dentro di me, una sensazione di sicurezza. Scrivere mi ha aiutato a ricavare uno spazio tutto per me.
Cosa ti spinge a scrivere? Quali figure, nella vita o in letteratura, ti ispirano?
Scrivere ti insegna a prestare attenzione e io sono una persona molto curiosa. Sono tante le cose che mi ispirano, in particolare quelle quotidiane. Mi interessa la luminosità della vita di tutti i giorni. Lo stridio degli ibis hadada nel cortile di casa mia, la voce di mia madre quando canta, il legame con le persone care e così via, tutto mi porta a scrivere.
Le donne della mia vita mi sono di grande inspirazione e compaiono spesso nei miei scritti. La mia bisnonna, mia nonna e mia madre hanno vissuto delle vite incredibili, hanno affrontato grandi sofferenze. La loro resilienza e le loro conquiste sono per me motivo di commozione.
La tua famiglia ha dovuto lasciare la RD Congo e tu hai scritto varie poesie in cui descrivi cosa significa e come ci sente a essere un rifugiato. Conservi dei ricordi di quell’avvenimento?
La mia famiglia ha lasciato la RDC quando avevo 3 anni, ho dei ricordi piuttosto vaghi. Ma i ricordi non abitano soltanto la nostra mente, abitano anche il corpo. Soffro di dolore cronico per via dei traumi subiti durante l’infanzia, anche di quelli di cui non ho memoria, perfino di quelli delle generazioni precedenti, perché ereditiamo anche le loro esperienze. Il trauma intergenerazionale in qualche modo costituisce il fardello delle storie irrisolte.
Nel 2022 è stata pubblicata la tua prima raccolta di poesie, A History of Disappearance. Cos’è che vale la pena raccontare nonostante sia scomparso?
A History of Disappearance segue le tracce del mio vissuto in quanto immigrata di origine congolese. La mia famiglia fuggì dalla RDC vent’anni fa in un momento di grande instabilità politica, quando le fazioni militanti cercavano di rovesciare il dittatore Mobutu Sese Seko.
Hai vissuto sulla tua pelle l’esperienza della migrazione. Cosa provi nel vedere che tante persone sono costrette a fuggire dai loro Paesi (a causa di guerre civili, crisi climatica, carestie…)?
Mi devasta. La migrazione forzata ti fa capire cos’è la perdita. Impari che ogni cosa è temporanea, che ti può essere tolto tutto, perfino il tuo Paese. Conosco intimamente questa sensazione di perdita, e mi si spezza il cuore al pensiero di tutti coloro che ne fanno esperienza.
Il nostro progetto si occupa di poesia femminile africana. In che modo l’essere donna è presente nel tuo lavoro?
Anche se ritengo che la poesia sia per tutti, io scrivo per le donne. Per quelle che conosco e quelle che non conosco. Tutte le mie poesie sono pervase dalle loro storie. Quando scrivo è come se mi unissi a un coro di donne poete.
Pensi che ci siano delle caratteristiche specifiche della poesia africana? E della poesia femminile africana in particolare?
Non saprei, penso che la poesia africana sia talmente vasta che non sia possibile distillare dei tratti specifici. Forse ciò che abbiamo in comune è che scriviamo della realtà delle nostre esperienze vissute.
Su cosa stai lavorando adesso, quali sono i tuoi progetti futuri?
Sto lavorando su una raccolta di saggi sul tema della fine.
Intervista e traduzione a cura di Gaia Resta
Link all’intervista originale in inglese
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