Wana Udobang, nota anche come Wana Wana, è poetessa, giornalista, filmaker, presentatrice radiofonica e televisiva di nazionalità nigeriana. Diritti delle donne, giustizia sociale, assistenza sanitaria, cambiamento climatico, cultura e arte sono i temi della sua produzione.

Nata a Lagos, si è laureata a pieni voti in giornalismo nel Regno Unito, un’esperienza che ha segnato il suo percorso.
“Credo che quando cresci come persona di colore in un Paese africano l’identità non sia qualcosa di cui ti preoccupi davvero. Sono diventata consapevole della mia origine solo dopo essermi trasferita nel Regno Unito, quando ho iniziato a comprendere i modi sottili – e talvolta non così sottili – in cui l’identità può complicare il modo in cui sei visto, e come devi farti strada nel mondo.”
Più tardi Wana è tornata in Nigeria, dove ha iniziato a lavorare come presentatrice radiofonica per il canale più seguito nel Paese, Sharing Life’s Issues – condividere problemi della vita.
Nel 2015 ha deciso di essere freelance, producendo e presentando documentari radiofonici e scrivendo per svariate testate.
I suoi articoli sono stati pubblicati su BBC, Al Jazeera, Huffington Post, BellaNaija, e The Guardian.
Un’artista poliedrica, insomma, che abbraccia forme d’arte diverse per trovare modi nuovi di entrare in contatto con il pubblico.
Per lei la poesia è iniziata come catarsi – scrisse la prima a soli sedici anni – mentre il giornalismo è il mestiere per cui ha studiato.
“Con il giornalismo racconto le storie della gente, mentre la poesia è piuttosto un’esperienza personale. Mi piace l’intimità, ed è ciò che fa incontrare la mia poesia e il mio modo di fare giornalismo. Ciò che cerco sono i ritratti delle vite altrui, andare a fondo nelle singole esperienze.”

Wana è cresciuta con una madre divorziata, che ha dovuto farsi strada tra difficoltà finanziarie ed emotive all’interno di una società patriarcale. La sua infanzia è stata segnata da un caleidoscopio di violenza domestica, in cui ha ben presto imparato ad urlare ogni volta che vedeva un uomo picchiare una donna. Non sorprende che sia diventata una femminista convinta.
“Non mi ricordo quando e come sono diventata femminista, allo stesso modo in cui non ricordo la prima volta che mio padre ha messo le mani addosso a mia madre, o la prima volta in cui mio zio ha messo le mani tra le mie gambe. Quello che so è che il mio femminismo è la mia resistenza, e per questo non ho mai smesso di urlare.”
Lo stesso ha fatto più tardi, nel corso della sua carriera, quando si è ritrovata ad affrontare discriminazioni di genere in svariate situazioni.
“All’epoca presentavo uno show, e quando tra gli ospiti vi era un politico mi veniva richiesto di lasciare il posto a qualcun altro, un uomo, per fare l’intervista. Era una maniera carina di dirmi che non avevo le capacità necessarie di sostenere interviste più complesse – ma ovviamente mi sono fatta valere.”
Oggi, il suo grido contro le norme sociali si è tradotto in produzioni artistiche di grande valore, come “This is not a feminist poem” – “Questa non è una poesia femminista.” E nonostante le continue lotte, Wana crede fermamente che questo sia un momento bellissimo per essere donna.
“Siamo in un momento in cui ci sono grandi conversazioni sulla condizione femminile, sulla ridefinizione dei nostri ruoli e modi di essere. Credo che le cose continueranno a migliorare. Sono ispirata dai modi diversi in cui le donne combattono per loro stesse, nuotando tra le acque delle tradizioni patriarcali per farsi spazio. Alcune di queste sono donne famose, altre sono persone ordinarie che non passeranno mai alla storia. È questo spirito ad ispirarmi e sorprendermi costantemente.”
Per Wana, il femminismo dà la possibilità alle donne di scegliere. Lo paragona a una casa dove tutte possono trovare una stanza per sé, una stanza accogliente, priva di obblighi o costrizioni.
Le donne si ritrovano a combattere contro gli stessi pregiudizi in qualsiasi parte del mondo, che sia in Europa, in Africa, o qualsiasi altro posto. Uno di questi è strettamente legato all’aspetto fisico, che richiede loro di essere belle e perfette a qualsiasi costo. E se non dovesse essere così? “Shrink” è un cortometraggio scritto, diretto e prodotto da Wana, con lo scopo di affrontare questo tema con profonda empatia.
La Nigeria conta tantissimi artisti ed è per farli conoscere ad un vasto pubblico che nel 2017 Wana ha creato Culture Diaries, progetto in cui artisti e personaggi di cultura prendono posto accanto a lei per intavolare una conversazione sulle loro storie di vita, sfide e prospettive.
“Non solo la Nigeria è un Paese enorme, ma è anche geograficamente e linguisticamente eterogeneo. L’arte è sempre stata parte delle nostre storie, dei nostri rituali e modi di vivere – dalla tradizione orale fino all’arte performativa e alla scultura. È nel nostro DNA, e spesso le persone danno voce alle proprie idee attraverso forme artistiche . La nostra arte sta anche acquistando riconoscimenti a livello internazionale, ma allo stesso tempo si sta facendo sempre più strada tra le comunità locali – e credo che anche questa sia una cosa fantastica. Ho avvertito l’importanza di documentare gli artisti dei nostri tempi, persone che si servono delle loro creazioni per rivolgersi ai sistemi di potere, e coloro che innovano e rivoluzionano il modo in cui vediamo, consumiamo, e ci rapportiamo all’arte. Considero Culture Diaries un’eredità, per fare tesoro della voce della nostra generazione di artisti africani, mentre lasciano le loro impronte sul continente e intorno al mondo. Sono sempre sorpresa e ispirata da ogni artista che ho l’occasione di incontrare. C’è qualcosa di unico nel loro processo, nella loro storia, nella loro voce, e nelle tracce che vogliono lasciare sul mondo.”
Nei progetti di Wana c’è una mostra multimediale che unisca poesia, suoni e video in uno spazio artistico, come una galleria.
Quello che le sta veramente a cuore è creare una produzione eccellente, d’impatto e coinvolgente che ruoti sempre intorno all’esperienza umana – e noi non vediamo l’ora di vedere i lavori che verranno.

Questa non è una poesia femminista
di Wana Udobang
Questa non è una poesia femminista
Non ha metafore contorte, né battute finali, né coro
Questa non è una poesia femminista
È una donna che impara a commerciare prima che il suo amante
esali l’ultimo respiro.
Non avrà mai la possibilità di dire addio
perché quelle ultime ore distano un punto-partita
dall’assalto di famelici parenti.
Vedi da dove veniamo,
le vedove imparano a congedarsi dai loro morti ancor prima
che siano calati nel terreno.
Perché il dolore richiede tempo e il tempo è un lusso
che lei non può permettersi.
Ma non voglio parlare di riti funebri o dell’impossibilità di ereditare
di una figlia
Perché questa non è una poesia femminista
È una tredicenne con perdite continue tra le gambe.
Non può opporsi a quello sfruttamento perché la cultura richiede
che bambine diano vita
a bambini ancor prima di diventare adulte.
Questa è Grazia, in attesa di svilupparsi del tutto
prima che i medici possano ripararla.
Ci scambiamo sorrisi fragili, ma il mio esplode di domande
e vorrei chiedere, come può una bambina di sei anni
chiedere di essere stuprata in gruppo
all’ora di pranzo dopo la scuola?
Mentre armeggia con le perline di un rosario che le striscia intorno
al collo,
le mie labbra sono troppo intorpidite per chiedere a Dio perché?
Ma non sto cercando di non affrontare la questione da femminista
perché
Questa non è una poesia femminista
È il padrone che paga tuo padre perché stringa i denti e soffochi
le lacrime
per ciò che suo figlio ti ha fatto.
E tuo padre sa che perdere la casa è troppo vicino a casa,
così lava via la tua vergogna con una spugna,
tampona le tue ferite con le Scritture
sperando che quelle parole a loro volta possano ripulire
il fetore del respiro,
cancellare le impronte che ti formano mappe sulla pelle,
e reincollare tutto ciò che in te si è rotto.
Invece la memoria ha un modo interessante di rifiutarsi di sparire,
ed è per questo che esisti con un nastro
che ti risuona nella testa all’infinito.
Non sono qui per parlare del sequestro della giustizia nel mio Paese
o dire a chi, come e perché ci siamo rifiutati di pagare il suo riscatto
Perché questa non è una poesia femminista
Sono le grida laceranti di bocche aperte che soffocano
mentre mani strangolano i polmoni della loro ambizione
Sono uomini in uniforme con pance gonfie di mazzette,
che hanno giurato di proteggerti ma ti dicono
che ciò che accade tra le pareti di casa
è una questione familiare.
Così bevi il tuo dolore fino alla sazietà, la tua gola è riarsa,
eppure inizi ad averne ancora sete.
È andare in giro con un ventre troppo vuoto per portare un erede
che ricevi nei semi del tradimento, nella speranza
che rimetta insieme i resti del matrimonio.
È questo che significa essere una vera donna.
Sono le ragazze che vengono mandate a scuola solo
per tornare a casa sapendo che il loro futuro
è sospeso tra i loro corpi
e il loro silenzio, a loro decidere quale tradire prima.
Sono quei messaggi alle 2 di notte dal telefono del tuo capo
che ti ricordano che perderai sempre, così sorridi,
ti spolveri una spalla e sopporti
Ritorni al lavoro perché questo magro stipendio
paga la scuola del tuo fratellino
e le medicine per il cuore di tua madre.
Ma questa non è una poesia femminista
È abituarsi alla normalità che il tuo corpo sia un campo minato,
calpestato dalla politica della cultura
È un promemoria che tu sei una rendita, sei un’esca,
sei una fonte di guadagno
e in virtù della tua esistenza sei solo metà umana mai uguale,
mai la stessa.
È imparare che le pesanti medaglie del tuo successo
non hanno senso
finché non vengono fuse per farti un anello al dito
Ma ti ho detto all’inizio che questa non è una poesia femminista
Non è uno sfogo o un appello all’azione
Non è un richiamo d’attenzione
Non è un elenco di tutto ciò che già sai
Questa non è una poesia femminista
Questa è una poesia sulla vita, sui diritti,
per le mie sorelle che lottano
e continuano a combattere
Questa non è una poesia femminista
[This is not a feminist poem di Wana Udobang]
Traduzione di Maria Luisa Vezzali