Questa non è una poesia femminista

Questa non è una poesia femminista
Non ha metafore contorte, né battute finali, né coro
Questa non è una poesia femminista
È una donna che impara a commerciare prima che il suo amante
esali l’ultimo respiro.
Non avrà mai la possibilità di dire addio
perché quelle ultime ore distano un punto-partita
dall’assalto di famelici parenti.
Vedi da dove veniamo,
le vedove imparano a congedarsi dai loro morti ancor prima
che siano calati nel terreno.
Perché il dolore richiede tempo e il tempo è un lusso
che lei non può permettersi.
Ma non voglio parlare di riti funebri o dell’impossibilità di ereditare
di una figlia
Perché questa non è una poesia femminista
È una tredicenne con perdite continue tra le gambe.
Non può opporsi a quello sfruttamento perché la cultura richiede
che bambine diano vita
a bambini ancor prima di diventare adulte.
Questa è Grazia, in attesa di svilupparsi del tutto
prima che i medici possano ripararla.
Ci scambiamo sorrisi fragili, ma il mio esplode di domande
e vorrei chiedere, come può una bambina di sei anni
chiedere di essere stuprata in gruppo
all’ora di pranzo dopo la scuola?
Mentre armeggia con le perline di un rosario che le striscia intorno
al collo,
le mie labbra sono troppo intorpidite per chiedere a Dio perché?
Ma non sto cercando di non affrontare la questione da femminista
perché
Questa non è una poesia femminista
È il padrone che paga tuo padre perché stringa i denti e soffochi
le lacrime
per ciò che suo figlio ti ha fatto.
E tuo padre sa che perdere la casa è troppo vicino a casa,
così lava via la tua vergogna con una spugna,
tampona le tue ferite con le Scritture
sperando che quelle parole a loro volta possano ripulire
il fetore del respiro,
cancellare le impronte che ti formano mappe sulla pelle,
e reincollare tutto ciò che in te si è rotto.
Invece la memoria ha un modo interessante di rifiutarsi di sparire,
ed è per questo che esisti con un nastro
che ti risuona nella testa all’infinito.
Non sono qui per parlare del sequestro della giustizia nel mio Paese
o dire a chi, come e perché ci siamo rifiutati di pagare il suo riscatto
Perché questa non è una poesia femminista
Sono le grida laceranti di bocche aperte che soffocano
mentre mani strangolano i polmoni della loro ambizione
Sono uomini in uniforme con pance gonfie di mazzette,
che hanno giurato di proteggerti ma ti dicono
che ciò che accade tra le pareti di casa
è una questione familiare.
Così bevi il tuo dolore fino alla sazietà, la tua gola è riarsa,
eppure inizi ad averne ancora sete.
È andare in giro con un ventre troppo vuoto per portare un erede
che ricevi nei semi del tradimento, nella speranza
che rimetta insieme i resti del matrimonio.
È questo che significa essere una vera donna.
Sono le ragazze che vengono mandate a scuola solo
per tornare a casa sapendo che il loro futuro
è sospeso tra i loro corpi
e il loro silenzio, a loro decidere quale tradire prima.
Sono quei messaggi alle 2 di notte dal telefono del tuo capo
che ti ricordano che perderai sempre, così sorridi,
ti spolveri una spalla e sopporti
Ritorni al lavoro perché questo magro stipendio
paga la scuola del tuo fratellino
e le medicine per il cuore di tua madre.
Ma questa non è una poesia femminista
È abituarsi alla normalità che il tuo corpo sia un campo minato,
calpestato dalla politica della cultura
È un promemoria che tu sei una rendita, sei un’esca,
sei una fonte di guadagno
e in virtù della tua esistenza sei solo metà umana mai uguale,
mai la stessa.
È imparare che le pesanti medaglie del tuo successo
non hanno senso
finché non vengono fuse per farti un anello al dito
Ma ti ho detto all’inizio che questa non è una poesia femminista
Non è uno sfogo o un appello all’azione
Non è un richiamo d’attenzione
Non è un elenco di tutto ciò che già sai
Questa non è una poesia femminista
Questa è una poesia sulla vita, sui diritti,
per le mie sorelle che lottano
e continuano a combattere

Ispirato a  This is not a political poem di Efe Paul Azino

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[Su gentile concessione dell’autrice]

Traduzione di Maria Luisa Vezzali

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