Jean Rhys

Penso all’io diviso di Jean Rhys nella Dominica, il suo
io invisibile a Londra, e alla profondità,
alla portata e all’ampiezza della sua scrittura:
Ciò che era realizzabile al suo tempo è realizzabile adesso, il
racconto d’inverno di Jean Rhys e la sua tragedia degli errori, la perdita di
un figlio e i matrimoni falliti. Era una scrittrice di talento e
sono molti i paralleli tra le sue nevrosi, la sensazione di
alienazione e la sua identità di intellettuale e scrittrice femminista
della prima ondata. Lei è guarita come sono guarita io.
Ci è ricaduta come è successo a me.
Sei diventata Anais Nin, il teschio buono e la foglia patriottica.
Che possa il morso del cane baciarti. Più mi avvicino a capire
il segno e il simbolo di Dio, più mi sento lontana dall’esistenza.
Sono così strana e diversa. La famiglia mi lascia sempre
sola. Penso all’ergonomia della guerra, la povertà, la sporcizia e la polvere.
La determinazione che vi è dietro. L’enormità di tutto l’insieme. Penso
alla filosofia di Gus Ferguson, al compositore Moses Molelekwa,
i poeti Kyle Allan e Allan Kolsk Horwitz. Penso agli
archivi delle zone paludose che non fanno che scomparire
dalla vista. La manutenzione
navale della corrente di ritorno che si incanala nella schiuma. Parigi è
la signora di ghiaccio trovata in un manicomio a bere un cocktail abbinato
alle sue unghie. È un geco guizzante. È l’età in declino
dell’inverno. È il numero di settembre. È l’immagine di strade
di ciottoli muscolosi, il mare che fluisce da un’altra era, la fiamma,
la fiamma meditabonda della fiducia. Naturalmente, soffro perché mi hai
lasciata. Sei europeo adesso. Voglio essere felice, ma
non lo sono. La libertà sospira. Il mio stato di salute viene analizzato più
e più volte. E crollo davanti alla tua risposta, fratello. L’idea,
di te. La salute delle tue urla e delle tue ansia. Il tuo cervello non è
il mio cervello. Il tuo essere non è il mio. La tua interezza non è la mia.
Penso al mio primo crollo mentale. Penso al mio secondo infinito
movimento da sopravvissuta. Come si è attaccato a me e come
la tavola periodica, la simmetria bilaterale, i mitocondri, le amebe, non
mi ha più lasciato. Anch’io sono colpevole di rimuginare troppo ogni momento.
Voglio la divina propaganda del miracolo. Voglio il tormento
dello sguardo di sfuggita, Non voglio soffrire più. Mi hai spinta
a terra sul margine più buio. Sul margine del fiume all’imbrunire.
Mi piace vivere nel passato con i suoi raggi voodoo e le clausole morali,
la mente fatta di una nuova alba svanisce, carne e ossa che saranno lacerate
alla fine dalla capacità e dall’ansia della morte. Dalla follia nel
mio caso. So come rimanere sana ora in questa atmosfera cremisi
con le sue luci sfavillanti, le sue spiagge dove la sabbia e il mare si confondono.
Penso all’inclusione sociale degli altri e poi penso alla solitudine,
perché questo è un pianeta complicato. È un universo solitario.
E, a fasi alterne, mi innamoro del mio essere piena di risorse.
La voce di Rhys. La voce della inter-dipendenza sociale e della nidificazione per classi.
Lei è importante quanto Richard Rive. Brink. Mxolisi Nyewzwa.

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[Su gentile concessione dell’autrice]

Traduzione di Gaia Resta

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