Ho perso i denti in battaglia

I.
Mio padre tenta di uccidermi due volte
prima che io compia dodici anni.
entrambe le volte sono una cosina minuscola sul pavimento.
Spezza il ramo di un albero di Jacaranda sulla mia pelle
e io perdo la voce.
In entrambi gli scenari urla: ti uccido.
In entrambi gli scenari,
mia madre se ne sta lì e mi guarda morire.
In entrambi gli scenari non sono sicura di che cosa io abbia fatto per meritare la morte.
In entrambi gli scenari muoio.
Scopro che non c’è un paradiso per le bambine che muoiono per mano dei padri.
Non c’è un paradiso per le bambine le cui madri se ne stanno lì e le guardano morire.
Perché forse se lo sono meritato.

II.
Racconto alla mia amica di come mio padre sogni di uccidermi.
Lei mi dice che quando aveva dieci anni,
suo padre le infilava la mano sotto i vestiti durante i pisolini pomeridiani
e afferrava le sue parti intime.
Piango sul suo tappeto. Lei dice:
Se gli uomini ci potessero stuprare e farla franca, lo farebbero.
Proprio. Ognuno. Di. Loro.
Piango ancora un po’ nel buio.
Trascorro quella settimana in una valigia.
Un uomo tocca il mio nome mentre mi ci infilo.
Mio padre ha distrutto la spirito battagliero che è in me quando ero una bambina.
Penso che quel ragazzo mi abbia stuprato soltanto perché ho perso i denti in battaglia.
Penso, penso troppo al passato.
Penso che forse se avessi il coraggio di abbandonare questo corpo, i miei denti spunterebbero di nuovo.

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Traduzione di Giovanna Molinelli

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