Esther Abumba

Vivere in un territorio dove è in corso un conflitto decennale, un territorio che è stato messo sotto assedio, la popolazione aggredita, uccisa, sfollata, violentata, è un’esperienza difficile da spiegare a chi non l’ha mai vissuta. Stiamo parlando di Goma, città nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo. Un territorio ricchissimo di risorse minerarie, una delle ragioni, ma non la sola, che ne fa una delle aree più calde al mondo. Eppure, in mezzo alla paura e al disastro ci sono giovani che non si arrendono, che credono ancora nel potere delle parole e del dialogo. Una di queste è la giovane slameuse Esther Abumba, che a Goma è nata 23 anni fa. Artista della parola, Esther è la coordinatrice del festival femminile Musika na kipaji (Ragazza e talento) che si occupa di promuovere i diritti delle donne e di combattere la violenza di genere attraverso l’arte e l’imprenditorialità. È, inoltre mobilitatrice comunitaria per la ONG AGIR RDC. Noi l’abbiamo intervistata.

Perché e quando hai deciso di dedicarti alla slam poetry?

All’inizio ero una giovane lettrice e una scrittrice in erba, direi che scrivevo solo per me stessa. Poi, alla fine del ciclo scolastico ho scoperto lo slam, frequentando il collettivo Goma Slam Session. Nel 2020, ho beneficiato di un workshop di scrittura poetica e performance artistica, ed è stato dopo una presentazione all’Istituto Francese di Goma che ho deciso di lanciarmi ufficialmente in una carriera da solista di slam poetry. Era innanzitutto un modo per esprimere appieno le mie idee e i miei sentimenti. Avevo bisogno di condividere la mia storia di donna della regione del Kivu e ho fatto in modo di usarla per guarire le mie ferite interiori, le mie frustrazioni e le mie paure. Ero anche motivata dal desiderio di usare lo slam come strumento di guarigione contro i mali della mia società e come arma di lotta e denuncia contro le ingiustizie subite quotidianamente. Infine, volevo fare di quest’arte un canale di educazione collettiva, soprattutto in una regione scossa e dilaniata dalla guerra e dai conflitti.

Quali sono i temi principali dei tuoi testi?

Seguo un approccio artistico impegnato; pertanto, i miei temi sono maggiormente orientati alla giustizia, alla pace, alla speranza, ai diritti umani, in particolare quelli dei bambini e delle donne. Parlo anche di amore e di altri temi vissuti quotidianamente e, soprattutto, ispirati dall’attualità.

Cos’è Goma Slam Session e chi l’ha fondata? Quanti giovani sono coinvolti e quali sono le vostre attività?

Il collettivo è stato co-fondato da quattro giovani di Goma, tra cui Depaul Bakulu, Ben Kamuntu, Ghislain Kabuyaya e Don Louis. Dal 2017 ha riunito almeno 200 giovani artisti slam, poeti, rapper e talvolta cantanti per esplorare il mondo delle parole. Organizziamo serate slam, sessioni di slam freestyle ed eventi o programmi di riflessione su questioni culturali e socio-politiche. Abbiamo un programma di slam al femminile che mette in risalto l’espressione di donne e ragazze. Organizziamo anche un programma di slam-therapy nei centri sociali con donne vittime di violenza sessuale e di genere e bambini vulnerabili, con l’obiettivo di utilizzare la parola come strumento di sdrammatizzazione e terapia individuale. Inoltre, lavoriamo al programma Slam in Schools, che prevede l’organizzazione di laboratori di slam poetry nelle scuole per introdurre gli studenti alla scrittura e alla libertà di espressione.

Cosa significa essere un’artista e una poeta in un luogo devastato da anni di conflitto, dove non c’è una pace duratura?

Essere artista a Goma significa semplicemente difendere i diritti di queste migliaia di congolesi respinti, traditi e calpestati dall’incompetenza e dall’inazione delle autorità. Significa sopportare il peso dell’incertezza, essere la voce di chi non parla e di chi parla ma non viene ascoltato. Essere orgogliosi di essere artista e allo stesso tempo vivere nella paura, temere per la propria vita. Il contesto di insicurezza e guerra ha sempre influenzato il mio modo di vedere le cose, al punto da ispirare molti dei miei testi, infondendovi rabbia, rimpianto e sfinimento di fronte alla sofferenza vissuta. Tuttavia, alla fine di ogni testo, mi interrogo sul futuro del mio Paese intingendo la penna nell’inchiostro della speranza. Perché essere un’artista nella mia regione significa anche profetizzare la pace e l’amore, esortare al perdono tra le comunità.

Quanto è difficile vivere in una città come Goma?

Qualche mese fa, prima della recente guerra, avrei dato una risposta diversa, ero di opinione diversa. Goma prima era una città bellissima, con molte attrazioni turistiche, una città vivace che accoglieva commercianti da ogni dove, brulicante di giovani pieni di idee e talenti eccezionali. Ma oggi devo dire che è molto difficile viverci, senza una banca o istituzioni e uffici essenziali, senza alcuna risposta da parte del Governo, tra proiettili, saccheggi, furti e uccisioni a ogni angolo di strada, e a volte in pieno giorno. Vivere a Goma significa correre il rischio di morire o di perdere i propri cari da un momento all’altro.

Donne e bambini, in particolare, sono coloro che soffrono maggiormente a causa dei conflitti e subiscono le conseguenze più gravi. Credi che le parole di una poeta possano avere un significato in situazioni così drammatiche?

In una comunità lacerata come la mia, dove donne e bambini subiscono gravi violenze e sono segnati da traumi, lo slam è una terapia collettiva. Persone come loro, e come noi, non sono abituate ad affidarsi a uno strizzacervelli, in primo luogo perché non possono permetterselo e in secondo luogo perché non è una pratica culturalmente radicata qui. Lo slam è una disciplina che gioca un ruolo importante perché incoraggia la libera espressione. Quando sei sul palco, stai  combattendo una lotta, lanci un grido di allarme e frustrazione. Con il programma di slam-therapy di cui faccio parte e porto avanti nei centri sociali e nei campi profughi, abbiamo l’opportunità di introdurre donne e bambini a questa terapia, incoraggiandoli a parlare dei loro problemi e delle loro paure affinché affrontino i loro traumi. Così come l’arte è un rimedio per i vizi del mondo, una benda per le ferite della società, lo slam è un faro di speranza, una voce che rifiuta il silenzio e consola, una via verso la giustizia e la libertà.

C’è stato un momento particolare in cui hai sentito di poter fare la differenza, di poter generare qualcosa di positivo intorno a te attraverso la tua arte?

Sì, a ogni edizione del festival Musika na kipaji, evento culturale che organizzo per donne e artiste della mia regione, mi sento profondamente commossa e orgogliosa di contribuire alla promozione dei diritti delle donne, di contribuire a cambiare la narrazione di queste donne che usano la loro arte come arma nella lotta contro la violenza di genere, ma anche come mezzo per promuovere la pace e la coesione sociale nella regione del Kivu. Queste donne che non hanno conosciuto altro che violenza, grazie al festival, si distinguono, si mettono alla prova e riscrivono le loro storie. Quando sono sul palco o anche quando partecipo a progetti di creazione artistica, mi sento utile e orgogliosa di fare la mia parte nella lotta. Dove altri prendono le armi per rivendicare i propri diritti, io uso le mie parole come unica arma contro l’ignoranza e la crudeltà.

Credi nel cambiamento? E come potrebbe realizzarsi?

La speranza può essere asfittica in questo momento, ma non è morta. Credo fermamente nella resilienza del popolo del Kivu, nella forza e nel desiderio di ricostruire tutto, di rendere la città di Goma ancora più meravigliosa di prima, di incidere mille desideri sui muri del nostro futuro, di diffondere il virus della passione in ogni angolo della regione, di investire, di innovare, di combattere la corruzione e l’ingiustizia sociale, di far esplodere i nostri cuori non con le bombe, ma con l’energia e l’amore che traboccano dal nostro petto. E affinché questo diventi realtà, dobbiamo amare Goma, dobbiamo amare il Congo, sostenere i processi che portano alla pace, combattere la corruzione, lavorare per l’interesse generale, non limitarci ad arricchirci con stipendi militari o bonus insegnanti. Cambiamento significa anche garantire la memoria, la giustizia e il riconoscimento delle vittime della guerra.

Qual è il tuo sogno più grande?

Ne ho due, anzi tre. Vivere in un Congo più giusto ed egualitario, in un Kivu pacifico, dove le donne non saranno più considerate armi di guerra, dove potranno sognare un futuro migliore, dove i bambini non moriranno più nelle miniere e dove riceveranno penne al posto delle armi. Sogno un giorno in cui le autorità di questo Paese saranno finalmente in grado di amarlo per il suo valore e di difendere la nostra sovranità. Infine, sogno di rappresentare il mio Paese a livello internazionale in festival e altre attività culturali grazie alla slam poetry e riscrivere la storia del mio Paese.

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Intervista di Antonella Sinopoli

Link alla versione originale dell’intervista in francese

Leggi le poesie di Esther Abumba: Buongiorno; Ragazza; Sopravvissuta

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