Portami al fiume

Diciamo “portami al fiume”,
ma quello che il fiume vuole è il corpo di una pietra
il tipo di quiete che si può indossare
fugge dalla sua natura distruttiva
e noi corriamo verso le sue benefiche acque.

Quello che la bocca vuole è umidità
un torrente di perdono
per battezzare la carne con l’abbandono.

Cantiamo dei fiumi di Babilonia
e le mie dita giocano sulla tua pelle.
Quando il coro si avvicina al pulpito
i miei occhi viaggiano tra mondi diversi
sospesi in un’impazienza infinita
finchè non ci rivedremo
finchè non ci rivedremo
finchè non ci rivedremo.

Quello che la carne vuole è l’eccesso
una lussuria spirituale infinita
dove la fonte di ogni flusso è l’estasi.
Le mie palpebre catturano ogni fantasia.
È così che intendo possedere tutto
è così che intendo possedere tutto.

Come le ciglia catturano la polvere e filtrano la luce
tengo questo piacere controluce
separo ogni limite sottile
insegno al corpo come nuotare nella spiritualità
mostro all’anima come annegare la fisicità.

Quello che il cuore vuole è la libertà
di spostarsi tra le parti del corpo
oggi sulla manica
domani sulla punta della clavicola
liberato dalle tue labbra
che cantano “portami al fiume”.

***
Portami al fiume [Take me to the river, di Gloria Kiconco]
Traduzione di Giulia Cerino

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